3 Il libro

DOI

10.34663/9783945561287-03

Citation

Nenci, Elio (2011). Il libro. In: Bernardino Baldi "In mechanica Aristotelis problemata exercitationes". Berlin: Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften.

Baldi iniziò probabilmente lo studio dei testi della meccanica antica già negli anni giovanili. Proseguendo presso Guidobaldo del Monte gli studi avviati con Commandino, egli si volse ben presto allo studio di Archimede e Pappo, di cui ritradurrà il libro VIII delle Collezioni Matematiche, per poi concentrarsi sui Problemi Meccanici.1 I biografi ci ricordano il titolo di almeno tre opere relative al testo aristotelico: i Discorsi sopra le Meccaniche d'Aristotile, le Dissertationes in mechanica problemata Aristotelis,2 e le Exercitationes, ma purtroppo nessuno di questi manoscritti è oggi conservato, per cui l'unico testo a nostra disposizione è quello della stampa del 1621.3

Composta probabilmente già intorno all'anno 1582, ma ripresa in mano nel 1614,4 l'opera fu affidata all'inizio del 1615 ad Adriaan van Roomen affinché la facesse stampare in Germania. La morte di questo personaggio avvenuta il 4 Maggio di quello stesso anno bloccò di fatto il negozio, per cui il testo non vide la luce se non nel 1621, quattro anni dopo la morte dell'autore, che invano aveva cercato di rientrarne in possesso.5 Fortemente scorretta nel testo e nelle figure, la stampa richiese il successivo inserimento di 8 pagine di errata corrige, che però si trovano solo in pochissimi degli esemplari oggi conservati.6

Per avere un idea del contenuto di questo importante testo della meccanica rinascimentale abbiamo raggruppato qui le questioni contenute nell'opera secondo caratteristiche omogenee. Alcuni di questi gruppi sono individuabili già nell'originale, altri sono stati invece qui formati per pure ragioni espositive. Avendo il lavoro baldiano la forma di un commento critico è stato inoltre necessario citare per esteso o in forma abbreviata il testo antico di riferimento.

1Il principio esplicativo generale: la figura circolare.

2La bilancia (Questioni 1–2, 9–10, 20).

3La leva (Questioni 3, 21–22, 28).

4I problemi nautici (Questioni 4–7).

5La facilità di moto delle figure rotonde (Questione 8).

6Le macchine semplici: l'asse nella ruota (argano), la carrucola, il cuneo (Questioni 11, 13, 17–18).

7La fionda (Questione 12).

8La rottura e deformazione dei materiali: legni e sassi delle spiagge (Questioni 14–16).

9La forza della percossa (Questione 19).

10La composizione dei moti (Questioni 23–24).

11La costruzione dei letti (Questione 25).

12La collocazione dei carichi sulle spalle (Questioni 26–27, 29).

13Il sollevamento dalla posizione seduta (Questione 30).

14I problemi relativi al moto (Questioni 31–34).

15Il moto dei corpi nei vortici d'acqua (Questione 35).

3.1 Il principio esplicativo generale: la figura circolare

Baldi procede a una critica puntuale dei principi della meccanica aristotelica, ovvero delle `meravigliose' proprietà del cerchio, mostrando che non è affatto vero che esse si basino sulla coesistenza dei contrari. Seguendo Archimede egli fonda invece la sua meccanica sulla teoria della centrobarica, a proposito della quale fornisce anche una sua definizione di centro di gravità, oltre a quelle di Pappo e di Commandino.7 In questa sua definizione egli precisa che il centro di gravità di un corpo “è un punto posto all'interno o all'esterno della grandezza”. Mostra infatti che, nel caso degli archi, che saranno oggetto delle sue attenzioni nella questione XVI, il centro di gravità cade non all'interno della figura, ma nello spazio racchiuso dalla figura stessa. Va ancora segnalato che, nell'ambito della critica ai principi del cerchio, Baldi per primo stabilisce esattamente in che relazione debbano stare i moti componenti per dare luogo a un moto circolare. Stabilisce anche la convenzione del senso del moto circolare relativamente a un osservatore solidale con il cerchio. Infine, nel discutere le ragioni per cui, secondo Aristotele, il peso della leva si aggiunge alla potenza impiegata agevolando l'azione del movente, Baldi dimostra che ciò è vero solo per il tipo di leva preso qui in considerazione dall'autore, ovvero la leva con il fulcro posto tra peso e potenza movente. Egli esplicitamente parla dell'esistenza di altri due generi di leva in cui la potenza viene sollevata insieme al peso.

3.2 Questioni 1–2, 9–10, 20: la bilancia

La prima questione, in cui si chiede perché le bilance maggiori siano più esatte delle minori, è stata enunciata dall'autore dell'opera con il preciso intento di dare un esempio immediato della quarta proprietà del cerchio, secondo cui i punti del diametro che descrive il cerchio si muovono tanto più velocemente quanto più sono distanti dal centro. Proprietà enunciata, ma non dimostrata nel testo. Baldi ne fornisce una dimostrazione rigorosamente geometrica, portando infine l'esempio dell'astrolabio che è tanto più preciso quanto maggiore è il suo raggio.8

Nella II questione si chiede la ragione del diverso comportamento di due tipi di bilance, con il sostegno posto al di sopra o al di sotto dei bracci, fatte prima inclinare per l'azione di un peso, e poi liberate dallo stesso. Il primo tipo di bilancia recupera infatti la posizione d'equilibrio, mentre la seconda una volta abbassata rimane in tale posizione. Baldi esordisce dicendo che i casi possibili non sono due, ma tre: bilancia con il sostegno in alto, bilancia con il sostegno in basso e bilancia con il sostegno al centro, ovvero coincidente con il baricentro.9 Poi spiega, mediante la teoria baricentrica e con l'ausilio di una sua figura, il differente comportamento di questi tre tipi di bilance, dimostrando peraltro alcuni interessanti teoremi relativi alla loro diversa sensibilità. Trae spunto dalle questioni trattate per parlare dell'equilibrio di alcuni corpi, quali la sarissa e la trottola, e del fenomeno apparentemente straordinario dell'equilibrismo della figurina rappresentante un funambolo, che regge tra le mani un filo di ferro con agli estremi due sferette di piombo. Infine spiega il perché della grande potenza dell'ariete sospeso.

La questione IX è direttamente ricunducibile al quesito trattato all'inizio dell'opera. Si chiede infatti: “perché con le carrucole di diametro maggiore si sollevano i pesi più facilmente e più celermente che con le carrucole di diametro minore?” La spiegazione tradizionale era che la carrucola può essere ricondotta alla bilancia, e che le bilance con bracci di maggiore lunghezza, oltre a essere più precise, si muovono più facilmente e più celermente delle bilance con bracci corti. Il Baldi è d'accordo sulla riduzione delle carrucole a bilance, ma non sugli altri aspetti della spiegazione. Riferendosi a una proposizione del Mechanicorum Liber di Guidobaldo del Monte,10 osserva che la facilità del movimento è contraria alla velocità (con cui esso viene attuato), detto in termini moderni, che in generale nelle macchine il prodotto della forza per lo spostamento è costante. Tuttavia Baldi è sostanzialmente d'accordo con Aristotele nel ritenere che nella pratica le carrucole di diametro maggiore risultino vantaggiose. La causa di ciò sta però nel rapporto tra il diametro della carrucola e il diametro dell'asse: più grande è questo rapporto, maggiore è la facilità di movimento. Qui entra in gioco l'attrito fra asse e carrucola, attrito che, a parità di assi, viene superato più facilmente dalla carrucola di dimensioni maggiori. La situazione migliore è quella di una carrucola di grande diametro con un asse di piccolo diametro ben spalmato di grasso. In questo senso l'affermazione aristotelica è accettabile. Nella seconda parte del suo commento alla questione Baldi tratta un argomento che dice finora trascurato, quello delle ruote mosse mediante una manovella azionata a mano o a pedale. Anche qui intervengono le proprietà della leva per cui la facilità di movimento è tanto maggiore quanto maggiore è il rapporto tra il braccio della manovella e il raggio dell'asse della ruota. Le manovelle sono di due tipi, quelle mosse a mano che hanno il braccio diritto, quelle mosse a pedale con braccio curvo. Facendo l'esempio della mola dell'arrotino, Baldi si chiede per quale ragione quelle mosse a pedale abbiano il braccio curvo. Detto in termini moderni l'urbinate nota che la curvatura del braccio favorisce il superamento del cosiddetto punto morto superiore. Infine prende in esame due ruote di uguali dimensioni e peso diverso, che girano intorno ad assi uguali, e si chiede perché la ruota più leggera venga messa in movimento più facilmente e si fermi prima. La ragione sta nel fatto che la ruota più pesante inizialmente si oppone all'acquisto della forza impressa, mentre poi la conserva più a lungo.

Molto interessante è la questione X in cui si domanda: “perché la bilancia quando è senza peso è più facile da muovere rispetto a quando porta un peso?” Qui entra in gioco un elemento, che sarà chiarito solo nel corso del XVII secolo tramite il concetto d'inerzia. L'autore dei Problemi Meccanici si interroga sul perché una bilancia con il braccio più leggero si muova più facilmente di una con il braccio più pesante, e assegna la causa alla difficoltà insita nel muovere un peso obliquamente. La spiegazione aristotelica è per Baldi non solo chiaramente insufficiente, ma la sua argomentazione risulta essere in aperto contrasto che l'esperienza che può essere fatta aggiungendo un peso dato a due bilance in equilibrio portanti pesi diversi. Va qui notato che nell'opera aristotelica la questione non era posta solo in relazione alle bilance, ma anche a ruote e altri corpi simili. Il testo latino di questa seconda parte del quesito presente nel Baldi è sicuramente da emendare con la traduzione di Tomeo.11

Stessi problemi testuali si hanno anche nella questione XX relativa alla stadera, dove sembra essere perduta un'intera riga di testo.12 In sostanza qui si chiede perché la stadera con cui si pesano le carni sia in grado di pesare carichi ingenti con un piccolo romano.13 Aristotele aveva ritenuto che la stadera potesse essere considerata allo stesso tempo come una bilancia e una leva, riconducendola così alla figura circolare. Baldi non ha nulla da obiettare alla riduzione della stadera alla leva. Si limita quindi a mostrare come questo strumento teoricamente si possa adoperare in due differenti modi: mantenendo fermo il sostegno e facendo variare la distanza alla quale pende il romano, ovvero al contrario, mantenendo fisso il romano e facendo variare la posizione del sostegno. Avverte però che in pratica la stadera si adopera nel primo modo.

3.3 Questioni 3, 21–22, 28: la leva

Riprendendo il quesito fondamentale riportato già all'inizio dell'opera la questione III chiede perché con la leva sia possibile muovere grandi pesi con piccole forze. La soluzione aristotelica riconduceva questa macchina alla bilancia con il sostegno di sotto, e quindi tramite questa al cerchio. Individuava poi una qualche proporzione tra i moti del peso e della potenza e le rispettive distanze dal fulcro, stabilendo semplicemente che più la potenza era lontana dal fulcro, più sarebbe stato facile muovere un peso con la leva. Baldi però rifiuta alla velocità lo status di causa dell'azione della leva, poiché nella condizione di equilibrio risulta per lui inconcepibile qualsiasi riferimento al moto. La distinzione aristotelica tra `atto' e `potenza' non permette di considerare un moto in `potenza' nello stato di quiete. La vera spiegazione è da ricercare nella VI prop. del I libro di Sull'equilibrio dei piani di Archimede, anche se risulta necessario individuare la causa del rapporto inverso stabilito in tale proposizione. La ragione ultima della legge della leva archimedea è per Baldi `l'uguaglianza di stato' che risulta dall'applicazione di potenze uguali a ognuna delle due estremità di una linea collocata in una posizione data.

Per quanto riguarda la trattazione del funzionamento delle pinze del dentista e dello schiaccianoci sviluppato nelle questioni XXI–XXII, basterà qui rilevare come entrambe fossero state ridotte dall'autore greco a due leve convergenti. Va comunque notato come soprattutto la questione XXI presenti già nel greco alcune difficoltà di carattere testuale che certamente hanno contribuito a renderla più complessa. Baldi le affronta appoggiandosi a Piccolomini.14

L'argomento della questione XXVIII, cioè la ragione della struttura dello shaduf usato per attingere l'acqua dai pozzi, non è direttamente riferito alla leva dall'autore dei Problemi Meccanici.15 Egli si limita infatti a rilevare che l'operazione dell'attingere si divide in due tempi, cioè nel mandare giù il vaso vuoto, e nel tirarlo su pieno. Ora è molto facile farlo scendere giù vuoto, ma assai difficile tirarlo su pieno. Per liberarsi dall'impaccio si usa lo shaduf, con cui il secchio si abbassa sì più lentamente, cioè con maggiore difficoltà, ma poi si tira su molto più facilmente, venendo in ciò aiutati dal contrappeso. Da Piccolomini in poi si sentì quindi l'esigenza di introdurre la vera spiegazione meccanica della macchina, riducendola naturalmente alla leva.16 Baldi proseguendo nella stessa direzione aggiunse un ulteriore elemento, mettendo in evidenza il ruolo giocato dal peso del corpo di colui che svolgeva l'azione di sollevamento dell'acqua.

3.4 Questioni 4–7: i problemi nautici

Nella questione IV Aristotele domanda perché i rematori posti al centro della nave muovano la nave in misura massima. Il fatto è spiegato considerando il remo come una leva, in cui lo scalmo è il fulcro, il mare il peso, e il rematore la potenza movente. Quindi per la ragione adottata in precedenza: tanto più la potenza dista dal fulcro tanto maggiore è il peso che può essere mosso per mezzo della leva. Baldi ritiene però che il fulcro non sia lo scalmo, ma il mare, mentre la nave è il peso collocato nel punto dello scalmo, posto cioè tra potenza e fulcro. Si tratta perciò, in base alla classificazione delle leve data da Guidobaldo del Monte, di una leva di II genere.17 In effetti, osserva Baldi, le cose starebbero come dice Aristotele solo se la nave fosse trattenuta da un impedimento. In tal caso il remo opererebbe effettivamente nel modo descritto nel testo aristotelico. Oltre a ciò Baldi fa notare che si dovrebbe dire più correttamente che i rematori posti al centro della nave muovano la stessa `più facilmente' e non `in misura massima'.18

La successiva V questione chiede invece perché il piccolo timone mosso tramite una impugnatura posta all'estremità della nave, muova tutta la nave. Si risponde che il timone è una leva, il mare il peso e il timoniere la forza movente. Esso è diverso dal remo perché non prende il mare secondo la larghezza come fa questo ultimo, e non muove la nave in avanti, ma è inclinato obliquamente dal mare in movimento. Si colloca all'estremità perché è più facile muovere un corpo in moto. Baldi contesta la relazione tra movimento del remo e del timone proposta da Aristotele, che trasferisce quanto è stato detto sul remo alla barra del timone, pone lo scalmo alla metà del remo e poi considera lo scalmo muoversi lungo il remo per effetto del movimento. In realtà è meglio considerare come fulcro il mare e lo scalmo, o cardine su cui ruota il timone che si sposta, come peso. Ciò spiega perché quando la nave è ferma il timone agisca poco o nulla sul movimento verso destra o sinistra della stessa, mentre agisce molto quando la nave è in moto, proprio perché la causa del forte movimento obliquo di essa è data dal moto stesso del mare che preme contro la pala. L'azione del timone può essere efficace solo se questo è posizionato obliquamente, e se la nave è in movimento.

Per chiarire il suo pensiero Baldi ricorre a una interessante osservazione personale sul modo con cui nei grandi fiumi i barcaioli traghettano merci e persone da una riva all'altra. L'esempio che adduce riguarda due pontoni uniti da un tavolato con il timone collocato tra le due poppe, e collegati con una fune alla riva. Se il timone viene piegato, è l'impulso della corrente che colpisce la sua pala a spingere i pontoni verso l'altra riva, e non come pensava Aristotele la percussione esercitata sull'acqua dalla pala. Le stesse cause valgono per le vele che ricevono obliquamente il vento, e per le code di uccelli e pesci che sono come dei timoni.

fig. 3.1: Pontone, Baldi (1621), 48.

fig. 3.1: Pontone, Baldi (1621), 48.

Nella questione VI si domanda perchè le navi vadano più veloci quando, a parità di vento e di vele, la loro antenna è collocata più in alto. Aristotele risponde che l'albero è una leva avente come fulcro la sua sede, come peso la nave e come potenza movente la forza del vento: quindi quanto più lontano è il fulcro, tanto più facilmente la potenza movente muoverà il peso. Baldi osserva che pur essendo vero che la nave si muova più velocemente quando più alta è l'antenna, questo comporta nello stesso momento un innalzamenzo della poppa e un'immersione della prua. In realtà occorre considerare la leva in questione come una leva angolare, analoga a quella che si ha nelle tenaglie usate per estrarre i chiodi, in cui il fulcro è l'angolo. L'albero della nave piegato dal vento si sposta e solleva con sé il peso della stessa. Essendo una leva angolare si avrà che la potenza del vento esercitata sull'antenna sta alla distanza dal fulcro come la distanza dal fulcro sta al peso della nave. Questa, per la disposizione della zavorra e del carico, ha il suo centro di gravità situato verso poppa. Quindi quanto minore sarà il rapporto tra le due parti della leva, e quanto maggiore il peso, tanto meno prevarrà la potenza nel sollevare quest'ultimo.

Nella VII questione si spiega perchè, pur non avendo il vento in poppa, si possa comunque navigare quasi come se lo si avesse, fissando la parte della vela che è verso il timoniere e allentando il piede della stessa verso prua. La spiegazione di Aristotele è basata sull'azione del timone, che quando il vento è forte agisce in senso contrario, e dei marinai che dispongono obliquamente la vela. Si ha quindi una lotta tra il vento e l'azione combinata di timone e vele che lo contrastano, per mezzo della quale si riesce a navigare in direzione diversa da quella del vento. Baldi chiarisce il testo breve e oscuro dell'autore antico usando il commento di Piccolomini, che riconduce tale caso a una sorta di leva, in cui il vento è il peso, il timone la potenza movente, con il fulcro che dovrebbe collocarsi a metà nave, ma è in realtà spostato verso prua.19 Osserva però Baldi che qui c'è una difficoltà, poiché il fulcro dovrebbe essere stabile, mentre qui non lo è.

3.5 Questione 8: la facilità di moto delle figure rotonde

Direttamente connesso con il principio teorico posto all'inizio del testo, il quesito VIII chiede perché tra tutte le figure il cerchio sia la più facile a muoversi. Questo problema dà la possibilità a Baldi di compiere la prima ampia digressione inserita nella sua opera. Aristotele distingueva tre diversi moti di corpi circolari: il moto di un cerchio su un piano, il moto di un cerchio intorno a un perno fisso orizzontale, il moto di un cerchio intorno a un perno fisso verticale. Nel suo commento Baldi prende in esame i seguenti casi: il cerchio e l'ellisse in moto su un piano orizzontale, il cerchio sul piano inclinato, a cui fanno seguito il caso dell'urto di una ruota contro un ostacolo e il moto in curva di due ruote sullo stesso asse. Affronta poi il moto sul piano orizzontale del cilindro e del cono. La digressione termina con quella che Aristotele classifica come terza specie di moto rotatorio, ossia di un cerchio intorno a un asse verticale; Baldi generalizza questa situazione al caso in cui l'asse di rotazione del cerchio formi un angolo con la verticale.

Gli argomenti citati vengono così sviluppati. Un cerchio, o una sfera, stanno immobili su un piano orizzontale per la stessa ragione che tiene ferma in equilibrio una bilancia a bracci uguali caricata con pesi uguali. Nel cerchio, o nella sfera, i pesi uguali sono le due parti uguali della figura a destra e a sinistra del punto di appoggio, che funge da fulcro. Importante poi è l'affermazione di Baldi relativa al moto sul piano orizzontale, più facile in quanto il baricentro non subisce innalzamenti, sia rispetto allo stesso piano, sia rispetto al centro della Terra. Per le figure non circolari, ad esempio l'ellisse, non è così perché il baricentro durante il moto sul piano orizzontale subisce innalzamenti e abbassamenti, inoltre la fatica per far avanzare l'ellisse è variabile in quanto durante il moto, a motivo della forma della figura, il baricentro non si solleva e non si abbassa in modo uniforme. Lo stesso accade per le figure dotate di lati (Baldi tratta solo il triangolo).

Baldi nota poi che nel caso di un cerchio o di una sfera, la verticale passante per il baricentro della figura appoggiata sul piano inclinato non cade nel punto di appoggio sul piano, ma più avanti, pertanto la figura risulta non sostenuta dal piano, e rotola verso il basso. Egli osserva anche che le due parti della figura a destra e a sinistra del punto di appoggio non sono simmetriche. Proseguendo mostra come la condizione di equilibrio di un cerchio, o di una sfera, sul piano inclinato può essere determinata col metodo della leva, precisamente la leva di secondo genere, dove il peso della figura, concentrato nel baricentro, sta tra il fulcro e la potenza, che applicata mantiene l'equilibrio. Mostra che tale potenza diminuisce al diminuire dell'inclinazione del piano. Fa un breve riferimento alla trattazione di Pappo del piano inclinato dicendo che si basa su ipotesi e su considerazioni differenti.20

Con procedure analoghe tratta il problema del perché, posto un ostacolo sul piano orizzontale, le ruote di diametro maggiore lo superano più facilmente delle ruote di diametro minore. La trattazione è fatta in due modi: tenendo conto degli spostamenti del baricentro, e riconducendo alle proprietà della leva. Nel primo modo mostra che nel superamento dell'ostacolo il baricentro subisce sempre lo stesso innalzamento, che è pari all'altezza dell'ostacolo, sia per le ruote grandi, sia per quelle piccole. La differenza che favorisce le grandi è spiegabile tramite il piano inclinato, ossia considerando che il baricentro delle ruote grandi deve percorrere una distanza maggiore, rispetto al baricentro delle piccole, per arrivare alla medesima altezza; in sostanza si tratta di due piani inclinati di uguale altezza, ma diversa inclinazione. Baldi considera più consona alla scienza meccanica la trattazione dello stesso problema mediante il metodo della leva. Le due ruote sono trattate come due leve di secondo genere, mostrando come la leva corrispondente alla ruota grande risulti più vantaggiosa della leva corrispondente alla ruota piccola.

Segue il problema del moto di due ruote con asse comune quando avviene un'inversione di marcia. Baldi mostra che entrambe le ruote compiono percorsi circolari concentrici e che la ruota più esterna percorre una circonferenza di raggio maggiore, mentre la ruota interna può perfino rimanere ferma quando si viene a trovare sul centro di rotazione. In un certo senso estende il problema delle due ruote trattando quello che chiama il “moto secondo il contorno”. Dato un corpo cilindrico che rotola sul piano orizzontale, se le basi del cilindro sono perpendicolari all'asse del cilindro la traiettoria che compiono sul piano consiste in due linee rette parallele. Se le basi del cilindro non sono perpendicolari all'asse, e hanno entrambe la stessa inclinazione rispetto all'asse, e quindi precisa Baldi sono ellissi, le traiettorie sono linee curve, sempre parallele. L'urbinate traccia queste curve mediante una costruzione geometrica per punti. Passa poi al moto di un cono appoggiato sul piano orizzontale, osservando che quando il vertice del cono rimane immobile, le traiettorie sul piano dei punti di contatto sono cerchi concentrici. Questo nel caso in cui la base del cono è perpendicolare all'asse del medesimo, ma quando invece la base del cono non è perpendicolare all'asse, e quindi è un'ellisse, cosa accade? Egli ritiene erroneamente che la traiettoria da essa tracciata sul piano sia ancora un'ellisse.

Baldi prosegue infine con i casi del moto rotatorio intorno a un asse verticale, come ad esempio il moto del tornio da vasaio o il moto di una trottola. In tale moto il baricentro resta immobile, basta quindi una potenza esigua sia per iniziare il moto, sia per mantenerlo, tanto che cessando la potenza che ha prodotto la rotazione il moto permane a lungo. In secondo luogo egli osserva che in questo genere di moto l'asse di rotazione tende a conservare la sua posizione a meno che non intervenga una causa esterna. Afferma inoltre che rispetto ai corpi triangolari, o in genere poligonali, questa tendenza è massima nei corpi circolari. Anche quando l'asse di rotazione viene a formare un angolo con la verticale si avrà sempre la tendenza a mantenere questo angolo, perché il baricentro non si abbassa, né si alza. Nel caso invece in cui il baricentro non fosse sull'asse di simmetria della figura circolare, durante la rotazione esso non rimarrebbe fermo, perché compirebbe a sua volta una rotazione. In seguito a questa rotazione la posizione del baricentro subirebbe quindi un innalzamento e un abbassamento, ed essendo il moto verso l'alto del baricentro un moto violento, ciò causerebbe una cessazione rapida dello stesso.

3.6 Questioni 11, 13, 17–18: le macchine semplici. L'asse nella ruota (argano), la carrucola, il cuneo

Sebbene Aristotele non parli mai direttamente in nessuna parte del suo testo dell'argano, Baldi ha modo di fare riferimento alle proprietà fondamentali di questo strumento nel suo commento alla questione XIII. Già nella parte finale della sua esposizione del quesito XI egli aveva toccato brevemente un aspetto rilevante del funzionamento di questa macchina. Lì si trattava di spiegare perché i carichi vengano trasportati più facilmente sui rulli che non sui carri, sebbene questi hanno grandi ruote, e quelli siano invece di piccole dimensioni. D'accordo con Aristotele nell'assegnare la causa di ciò all'assenza nei rulli dell'attrito contro gli assi delle ruote, Baldi aveva poi aggiunto che pesi enormi sono mossi assai efficacemente per mezzo di rulli, se ad essi vengono connesse delle leve. Ovviamente in questo caso il moto sarà molto lento, ma la lentezza viene compensata dalla facilità di spostamento del peso. Egli aveva dato dimostrazione geometrica di questo fatto, senza però metterla in rapporto con la teoria dell'argano. Nella questione XIII invece il richiamo è diretto. In questa si chiede:

perché intorno al medesimo giogo (iugum) le stanghe (collopes) più lunghe vengono mosse più facilmente di quelle più corte; e perchè per effetto di una medesima forza i verricelli (suculae) più sottili vengono mossi più facilmente di quelli più grossi?21

Aristotele spiega che ciò è possibile, “perché tanto il giogo quanto il verricello fungono da centro, mentre le lunghezze delle stanghe che fuoriescono dal giogo costituiscono le distanze dal centro, cioè il raggio”. Ma per effetto di una stessa forza il raggio dei cerchi più grandi, rispetto a quello dei più piccoli, si muove più velocemente e percorre una distanza maggiore. “Ora, nei verricelli più sottili, data un'uguale lunghezza delle stanghe, c'è più distanza dal legno”. Dopo avere offerto una dimostrazione geometrica dell'argomentazione aristotelica, Baldi spiega l'etimologia del termine latino (sucula), nel senso di `verricello', e aggiunge che questo dagli antichi scrittori di meccanica fu chiamato asse nella ruota (axis in peritrochio).22 Tra gli autori moderni Baldi cita Guidobaldo del Monte che nel suo Mechanicorum Liber aveva discusso di questa potenza meccanica, spiegandone il funzionamento sulla base del principio della leva.23

La questione XVII chiede: “perché con un piccolo cuneo si scindono grossi pesi e si esercita una forte pressione?” Aristotele e più recentemente Guidobaldo del Monte avevano tentato di ridurre il cuneo alla natura della leva,24 Baldi però non segue le loro opinioni, ma cerca di trovare autonomamente la giusta soluzione del problema. Per prima cosa egli espone la spiegazione data da Aristotele, mostrando come essa sia falsa e indegna di un così grande filosofo; quindi passa a quella di Guidobaldo, reputata molto ingegnosa, ma che presenta una difficoltà derivante dall'errato paragone del cuneo con il piano inclinato. Baldi fa infatti notare che quando il piano inclinato viene ridotto alla leva il fulcro cambia continuamente posizione.

Considerando questa difficoltà insita nel problema, Baldi cerca di spiegare la forza del cuneo da un diverso punto di vista. Egli distingue due tipi di cunei: quelli che possono essere ridotti alla natura della linea, e quelli che invece sono riconducibili alla natura della superficie. I primi hanno la forma simile a una linea che termina in un punto. A questa tipologia appartengono aghi, chiodi e pugnali. Il secondo tipo si compone invece di due superfici terminanti in una linea tagliente, come nel caso dei coltelli, delle spade e delle asce. Baldi aggiunge che i cunei operano in due modi, o essi vengono conficcati a colpi di martello, oppure vengono affondati sotto l'azione di una spinta o di una pressione come nel caso delle spade, dei pugnali e degli scalpelli da intagliatori.

Alla fine di questo capitolo Baldi analizza l'azione della leva nella scissione operata con il cuneo, non facendo però riferimento al cuneo, quanto piuttosto a ciò che viene scisso. Egli mostra che il fulcro cambia continuamente posizione in modo tale che lo scindere diventa via via più facile. Come ultimo caso Baldi prende in considerazione la scissione operata con uno scalpello usato come una leva a forma di cuneo, concludendo che essa sarà tanto più facile quanto maggiore sarà il rapporto tra la parte di scalpello posta all'esterno e quella posta all'interno della spaccatura stessa.

Argomento della questione XVIII sono i sistemi di carrucole, i rapporti tra le potenze applicate e i pesi sollevati. Baldi inizia citando l'opinione aristotelica secondo cui in generale maggiore è il numero delle carrucole, minore è la difficoltà per sollevare i pesi. Correggendo Aristotele che aveva ridotto la carrucola alla leva, Baldi precisa che la carrucola è una leva a bracci uguali, ossia è riducibile alla bilancia. Usa questa acquisizione per contraddire l'affermazione aristotelica che aumentando il numero delle carrucole aumenti la facilità con cui i pesi vengono sollevati. A tale scopo propone un sistema di cinque carrucole in cui la potenza applicata rimane uguale al peso sollevato; si tratta di un sistema in cui la fune a cui il peso è legato passa per carrucole rigidamente fissate a due travi, e quindi immobili.25 In un assetto del genere non avviene un riduzione del peso: peso e potenza risultano uguali. Questo vale qualunque sia il numero delle carrucole impiegate, purché disposte come sopra. Poi con una serie di considerazioni di tipo qualitativo e poco chiare lo scrittore urbinate sviluppa una sua argomentazione per mostrare come nella carrucola fissa peso e potenza risultano uguali, mentre nella carrucola mobile la potenza è metà del peso. Applica questa proprietà a un sistema di quattro carrucole mobili, riducendolo a quattro leve a bracci uguali, e mostra con calcoli numerici che un peso di 1000 libbre viene complessivamente ridotto 16 volte, per cui la potenza dovrà sostenere un peso di 62,5 libbre.26

3.7 Questione 12: la fionda

Diversamente dai problemi generali relativi al moto dei proietti che vengono affrontati nelle questioni 32–34, il loro lancio attuato con la fionda è analizzato già nel quesito XII. Qui si chiedeva: “perché i proiettili vengono mandati più lontano con una fionda che con la mano?” Aristotele risolve la questione dicendo:

forse avviene perché il fromboliere lancia un proiettile già mosso dalla fionda, dato che lo scaglia dopo aver fatto ruotare la stessa; mentre, quando il proiettile è lanciato con la mano, il lancio inizia dalla quiete. Tutti gli oggetti infatti vengono mossi con maggiore facilità quando sono già in movimento, che non quando sono in quiete.

Ma a tale ragione egli aggiungeva:

forse anche perché nell'uso della fionda la mano funge da centro, mentre la fionda rappresenta il raggio di un movimento circolare, che è maggiore del movimento circolare operato dalla mano che lancia.27

Baldi approva la soluzione aristotelica e, con maggiore precisione, osserva che quando il proiettile viene lanciato con la fionda il centro del moto circolare non è la mano, ma piuttosto quella parte del braccio che si innesta nella spalla. Egli trova inoltre sorprendente che Aristotele non abbia notato che nel lanciare il fromboliere fa ruotare lentamente la fionda intorno alla sua testa. Baldi osserva inoltre come la velocità del proiettile non sia semplicemente acquisita in seguito alla rotazione della fionda, ma derivi dall'impetus generato al momento del lancio.

3.8 Questioni 14–16: la rottura e deformazione dei materiali (legni e sassi delle spiagge)

Nella questione XIV si chiede perché uno stesso legno si spacchi con il ginocchio più facilmente tenendolo con le mani alle estremità, a uguale distanza, piuttosto che con le mani vicine al ginocchio. Il problema della resistenza alla rottura del legno viene dapprima presentato secondo lo schema consueto della leva rettilinea, dove la rottura dipende dalla maggiore o minore distanza dal fulcro del punto di applicazione della forza. A questa ovvia spiegazione Baldi ne aggiunge un'altra, basata sulla lettura dell'asta in termini di leva angolare: un braccio della leva è costituito dall'asta considerata secondo la sua lunghezza, l'altro è misurato dal suo spessore. In questo modo si stabilisce una relazione tra la forza applicata e la resistenza alla rottura che l'asta esercita nella sua sezione trasversale. Questa originale interpretazione consente di spiegare l'importanza del rapporto lunghezza-spessore del legno nella valutazione della sua resistenza. Alla fine del commento Baldi rinvia alla questione XVI per ulteriori approfondimenti.28

Il quesito XV è l'unico che abbia un parallelo all'interno di un'altra opera attribuita ad Aristotele. Già in Problemata XXII, 36 ci si chiedeva perché i sassi in riva al mare divenissero rotondi. Lì però la risposta non faceva riferimento alla figura circolare. Ora invece la spiegazione fornita da Aristotele riconduce il tema esaminato all'idea che quanto più un oggetto è lontano dal centro, tanto più facilmente si muove. In questo caso al maggior movimento corrisponde una più facile rottura. Baldi nota che se fosse un problema di distanze le pietre grandi dovrebbero essere più arrotondate di quelle piccole, ma così non è. Il problema è quindi ricondotto all'intrinseca debolezza di spigoli e sporgenze, che si frantumano facilmente e lasciano la pietra liscia e arrotondata. L'opera dello scultore che leviga il marmo, la facile rottura delle parti sporgenti di una statua (orecchie, naso, dita, mani, piedi), la forma arrotondata delle torri di difesa (a questo proposito viene ricordato Vitruvio), sono citati come esempi che indicano la fragilità delle piccole parti in aggetto.29

La questione XVI contiene un'importante digressione relativa alla resistenza delle travi in legno e degli archi in pietra, che non ha confronti in tutta la letteratura precedente. Il testo antico si chiedeva la ragione della maggiore predisposizione alla rottura e alla flessione dei legni più lunghi rispetto a quelli più corti. Dopo aver ricordato la spiegazione data da Aristotele (basata sul ragionamento già descritto nel commento al problema XIV) Baldi avvia un'analisi dettagliata della resistenza dell'asta, segnalando l'importanza del dato materiale (resistenza alla rottura di diversi materiali quali vetro, legno, acciaio) e delle modalità secondo le quali viene esercitata la sollecitazione (lungo l'asse, come in una colonna, oppure secondo una direzione obliqua o perpendicolare). L'analisi della resistenza si basa sulla lettura della leva angolare, già segnalata nel commento al problema XIV, e sull'idea che il comportamento a flessione dipenda dalla rarefazione o addensamento della materia. Baldi coglie l'importanza di queste considerazioni per l'arte del costruire e dedica il resto del commento all'applicazione dei principi meccanici a diversi esempi tratti dalla pratica architettonica: dalla resistenza della trave si passa così a quella dei solai, delle capriate, delle piattabande, delle volte. I problemi della resistenza della trave sono dunque messi in relazione con i problemi statici di elementi strutturali più complessi, al fine di rendere “più prudenti gli architetti”.30

3.9 Questione 19: la forza della percossa

Nella questione XIX Aristotele chiede:

perché se sopra un pezzo di legno si appoggia una grossa scure, e le si sovrappone un grande peso, essa non divide qualcosa del legno che sia degno di considerazione; mentre se sollevando la scure si percuote il legno lo si scinde, sebbene d'altra parte ciò che percuote abbia un peso molto minore di ciò che è appoggiato sopra la scure?

Egli risolve la questione dicendo:

ciò avviene perché ogni cosa è generata con movimento e il grave stesso, messo in movimento, acquista maggiore gravità mentre si muove che non quando è in quiete. Quando il peso è appoggiato sul legno dunque non si muove per effetto del movimento che è connaturato al grave; una volta mosso però si muove sia per effetto di questo movimento connaturato, sia per effetto del movimento proprio di ciò che lo percuote.31

Secondo Baldi quanto detto fin qui da Aristotele è giusto, mentre errata è la successiva riduzione dell'azione dell'ascia al cuneo, una spiegazione già confutata nel commento alla questione XVII. Per Baldi la discussione relativa alla percossa operata con l'ascia deve essere invece riferita alle questioni concernenti la natura dei corpi che cadono e i proiettili. Egli fa l'esempio di una bilancia in equilibrio con due corpi di equale peso collocati alle estremità: se altri due corpi gravi vengono aggiunti da entrambe le parti la bilancia rimane in equilibrio; ma se uno di tali corpi gravi aggiuntivi viene lasciato cadere su una delle due estremità, esso causerà la discesa della stessa. Nel corpo che viene lasciato cadere ci sono due pesi: uno è il peso naturale del corpo, l'altro è il peso che esso acquisisce per effetto del moto stesso. Se poi il peso aggiuntivo non venisse lasciato cadere ma fosse lanciato verso il basso, allora al peso naturale e a quello acquisito per effetto del suo moto naturale dovrebbe essere aggiunto un terzo peso, quello cioè prodotto dalla violenza con cui è stato lanciato.

Baldi in seguito analizza il moto circolare descritto dall'ascia prima di sferrare il colpo, e le variazioni di peso individuabili nelle varie fasi di tale movimento. Quindi egli nota alcune notevoli differenze tra la scissione di un pezzo di legno ottenuta con un colpo d'ascia e quella effettuata tramite un cuneo colpito da un martello. Baldi infine discute una pulcherrima quaestio: quale è il colpo più efficace inferto con la spada, quello effettuato con la punta, quello portato con la parte mediana, o piuttosto quello fatto con la porzione vicina all'impugnatura?

3.10 Questioni 23–24: la composizione dei moti

Affrontando nella parte introduttiva dell'opera lo studio dei due moti generanti il cerchio, Aristotele aveva affermato che questa figura poteva essere vista come il risultato di due moti non dotati di un rapporto costante. Infatti egli aveva precedentemente mostrato come dalla composizione di due moti tra loro in rapporto costante risultasse la diagonale della figura geometrica da essi generata. Tali argomentazioni dovettero portare molto presto alla riflessione sugli aspetti apparentemente paradossali della composizione dei moti, che furono poi discussi nelle questioni XXIII e XXIV.

Prima di discutere la questione XXIII, Baldi fa notare come essa offra una bellissima riflessione sui moti misti, che furono molto familiari agli antichi autori di meccanica. Questi erano a conoscenza di molte curve, quali ad esempio le spirali, le eliche, le cissoidi, le concoidi ecc., che furono da loro usate per trovare le due medie proporzionali e per quadrare il cerchio. Il lungo testo della questione è il seguente:

perché se in un rombo i due punti estremi vengono trasportati da due spostamenti, ciascuno di loro non percorre una eguale retta, ma uno percorre una retta molto maggiore? In altre parole, perché il punto che è trasportato sul lato percorre un tratto più breve del lato? Infatti un punto percorre la diagonale, l'altro invece il lato maggiore, sebbene questo sia trasportato da un unico spostamento, mentre quello da due.32

Come risolvere il paradosso? Come è possibile che due punti aventi moti di uguale velocità percorrano distanze diverse? La soluzione aristotelica consiste nel rilevare che uno dei punti si muove con due moti che sono entrambi verso il basso, mentre l'altro punto possiede un moto verso il basso e uno verso l'alto. Il primo punto è dunque più veloce e percorre una distanza maggiore.

Questa soluzione sembrerebbe essere non solo vera, ma meravigliosa e degna di Aristotele, Baldi però mostra la sua erroneità, e suggerisce nel contempo un'altro modo per sciogliere il paradosso. In qualsivoglia parallelogramma, rombo compreso, i movimenti misti, quando mantengono lo stesso rapporto, vengono sempre fatti lungo le diagonali. Ma il rapporto tra diagonali e lati cambia in continuazione, e così cambierà sempre anche il rapporto tra il moto semplice lungo il lato e i moti misti lungo i diametri. Ad esempio nel rombo i moti misti lungo le diagonali non sono uguali: quello lungo la diagonale maggiore è più veloce, mentre quello lungo la minore e più lento. Ne consegue che anche i moti semplici lungo i lati non saranno uguali ai moti lungo le diagonali.

La questione XXIV è forse il testo più conosciuto dei Problemi Meccanici. In essa si chiede per quale causa un cerchio maggiore descrive ruotando una linea uguale a quella descritta da un cerchio minore, allorché questi sono sistemati intorno al medesimo centro. Visto che se essi vengono fatti rotolare separatamente, quale è il rapporto della grandezza di un cerchio alla grandezza dell'altro, tale è il rapporto fra le linee percorse rispettivamente dall'uno e dall'altro. In primo luogo Baldi osserva come la figura geometrica usata da Aristotele sia alquanto oscura. Egli si propone perciò di mostrare la stessa argomentazione utilizzando una figura più chiara.

Aristotele spiega la causa di tale mirabile effetto dopo avere rifiutato l'opinione di alcuni predecessori. Questi ritenevano che la spiegazione fosse da ricondurre al verificarsi di pause nel movimento del cerchio maggiore e di salti di spazio nel movimento di quello minore. Prima di iniziare la sua dimostrazione Aristotele assume i seguenti principi:

una stessa o uguale potenza muove una certa grandezza più lentamente, e più celermente un'altra grandezza; se un corpo che per sua natura è atto a muoversi si muove insieme a un corpo non atto per natura a muoversi, si muove più lentamente di quanto farebbe se si muovesse da solo; ma se non viene mosso insieme a esso si muove più celermente.33

Si diano due corpi, uno leggero atto per natura a muoversi verso l'alto e l'altro pesante atto invece per natura a muoversi verso il basso. Se al corpo leggero venisse attaccato quello pesante, esso avrebbe maggiori difficoltà a muoversi verso l'alto e si muoverebbe più lentamente di quando esso è disgiunto dal corpo pesante.

Inoltre ciò che si muove non di proprio moto, ma per effetto del moto di un altro corpo, è impossibile che si muova più del corpo che lo muove, dato che si muove non di proprio moto, ma per effetto del moto dell'altro corpo. Se dunque il cerchio minore si muove di moto non proprio, ma per effetto del moto del cerchio maggiore, si muoverà per uno spazio maggiore di quello che percorrerebbe se si muovesse da solo. Allo stesso modo se è il cerchio minore che si muove rotolando di moto proprio, esso trascinerà con sé il cerchio maggiore e questo con la sua rotazione non percorrerà una distanza maggiore di quella percorsa dal cerchio minore.34

Infatti per Aristotele è sbagliato ritenere che ciascuno dei due cerchi ruoti separatamente intorno al medesimo centro, poiché quando è il cerchio minore a essere trasportato dal maggiore, il moto avviene intorno al centro del cerchio maggiore, mentre quando è il cerchio maggiore a essere trasportato dal cerchio minore, il moto avviene intorno al centro del cerchio minore. Questa soluzione del paradosso data da Aristotele è considerata da Baldi assolutamente certa e basata su cause vere.

3.11 Questione 25: la costruzione dei letti

In questa questione si domanda perché la lunghezza dei letti sia il doppio della larghezza, e perché le corde di sostegno non siano disposte in diagonale rispetto alle sponde del letto. Secondo Aristotele le dimensioni dei letti sono in proporzione con i corpi, per cui nei letti per una sola persona la larghezza è la metà della lunghezza. Baldi fa invece osservare che ai suoi tempi la proporzione è di 2/3 così che i letti sono lunghi circa 6 piedi e larghi 4 piedi, e ci possono stare due persone. Egli fa inoltre presente che il brano originale è piuttosto oscuro, sia perché Aristotele ha discusso la questione in maniera involuta, sia perché il testo ci è giunto in versioni corrotte. A quest'ultima difficoltà ha posto parzialmente rimedio Alessandro Piccolomini servendosi di un testo molto antico conservato nella Biblioteca Marciana di Venezia.35 Sui motivi per cui le corde di sostegno non vengono disposte in diagonale, Aristotele fornisce tre spiegazioni: 1) perché così le assi delle sponde, a cui le corde sono agganciate, subiscono minori rotture, 2) perché le corde sostengono un peso minore, 3) perché viene impiegata una minore quantità di corda. Per la prima Baldi con uno schema geometrico mostra la differenza tra una corda che esercita una trazione perpendicolare alla sponda del letto e una corda che esercita una trazione in diagonale rispetto alla sponda del letto. In questo ultimo caso la sponda riceve una spinta anche nel senso della sua lunghezza, spinta che ne diminuisce la resistenza. Passando al secondo motivo nota che le corde disposte in diagonale sono più lunghe e quindi meno resistenti di quelle disposte perpendicolarmente alle sponde. Per il terzo motivo Baldi riporta un conteggio della lunghezza di corda impiegata, fatto in base alla disposizione diagonale delle corde riferita da Aristotele. Per un letto lungo 6 piedi e largo 3 piedi la corda impiegata è all'incirca 40 piedi e 2/3; risultato leggermente diverso da quello del Piccolomini che è di 40 piedi e 1/2.36 Comunque per lo scrittore urbinate non è il caso di discutere a lungo una questione poco chiara già nello stesso testo aristotelico. Baldi si stupisce perché gli antichi non abbiano adottato il sistema più semplice, e non disponessero il reticolo delle corde di sostegno in senso perpendicolare alle sponde del letto, in tale modo avrebbero ottenuto maggiore resistenza e avrebbero impiegato una minore quantità di corda, ovvero 32 piedi come da lui stesso calcolato.

3.12 Questioni 26–27, 29: la collocazione dei carichi sulle spalle

Il trasporto di carichi posizionati sulle spalle costituisce nell'opera aristotelica l'argomento di tre questioni. Nella XXVI e XXVII si tratta di problemi relativi all'operazione svolta da una singola persona, mentre nella XXIX gli operatori coinvolti sono due. “Perché è più difficile, a parità di peso, portare i legni lunghi sulle spalle per un'estremità, piuttosto che per il punto medio?” Questo problema affrontato nella questione XXVI è risolto da Aristotele facendo riferimento alla vibrazione e al peso. Baldi nota che nel testo antico non è spiegato perché la vibrazione sia di impaccio al trasporto, e cerca quindi di fornire la ragione di ciò facendo riferimento al concetto di centro di gravità e alla rarefazione e addensamento del legno posto a contatto con la spalla, riprendendo così quanto aveva detto a proposito della flessione e rottura dei materiali. Nella questione XVI relativamente al ruolo giocato dal peso Aristotele aveva notato che si solleva più facilmente un legno per il punto medio, poiché in questo caso le estremità si sostengono vicendevolmente, e ognuna delle due parti solleva esattamente l'altra. Baldi però non si accontenta di tale spiegazione, e cerca attraverso un esempio di mostrare la ragione di tale fatto. Egli si rifà naturalmente alla legge archimedea della leva, richiamando ancora una volta la trattazione di tale strumento data da Guidobaldo nel suo Mechanicorum Liber.37 Infine Baldi considera alcuni problemi simili, cercando ad esempio di spiegare come mai un'asta giacente al suolo, afferrata con una mano per una delle sue estremità, si riesca a sollevare solo con grandissima difficoltà.

Nella questione XXVII si domanda perché lo stesso peso, anche quando è portato per il punto medio, se è molto lungo si porta sulle spalle con più difficoltà rispetto a uno più corto. Tale quesito è considerato da Baldi come un semplice corollario del precedente, quindi sottoponibile alle stesse critiche e allo stesso tipo di integrazioni.

Più interessante è invece la trattazione relativa al trasporto di un carico da parte di due persone presente nella questione XXIX, dove si chiede come mai quando due uomini portano lo stesso peso sopra un legno, vengano a sostenere pesi diversi a secondo della loro distanza dal carico, e in particolare come mai la persona più vicina a esso sostenga un peso maggiore. Per Aristotele il legno è una leva: il peso il fulcro, la cosa che viene mossa è la persona più vicina al peso, ciò che muove è quella più lontana. Pertanto quanto è più lontano dal peso, cioè dal fulcro, colui che muove, tanto è premuto con più violenza colui che è mosso con la parte più corta della leva. Baldi fa notare che le cose stanno in effetti in un altro modo, e rifacendosi a Piccolomini vede qui in azione due leve in un unico legno.38 Dopo avere notato come con il peso attaccato nel punto medio della leva i portatori sostengono ugualmente, perché il rapporto di tutta la leva alle due parti è uguale, egli passa a trattare alcune questioni nuove. Cosa succede se i due portatori sono di statura diversa? E in questa nuova situazione, come varia la posizione del centro di gravità nel caso in cui il peso non penda liberamente, ma sia direttamente connesso con la leva? Cosa avviene quando i portatori, pur avendo uguale statura, si muovono su un piano inclinato? Rispondendo a tale ultima domanda Baldi nota come a questo ultimo caso si possa ridurre anche l'uso della carriola, che può essere considerata come una leva con il peso collocato tra il fulcro e la potenza movente.

3.13 Questione 30: il sollevamento dalla posizione seduta

La questione XXX chiede:

perché alzandoci tutti poniamo la tibia ad angolo acuto con il femore, e similmente il femore con il petto? E come mai non facendo ciò non si riuscirebbe ad alzarsi?

A questa domanda Aristotele aveva risposto che ciò avviene perché in generale l'uguaglianza è causa di quiete, e in verità l'angolo retto è l'angolo della quiete, e fa stare in piedi. La causa per cui si sta in piedi è nell'essere perpendicolari al terreno, avendo la testa e i piedi sulla medesima linea. Ciò non vale per colui che sta a sedere, che riesce ad alzarsi in piedi dalla posizione a sedere solo quando la testa e i piedi vengono collocati su una linea, il che certamente avviene quando il petto e le gambe fanno un angolo acuto con il femore. Che tanto l'argomento, quanto la soluzione proposta nella questione XXX fossero difficimente riconducibili all'insieme dell'opera, risultò immediatamente evidente a Baldi, che negò decisamente la validità del principio posto da Aristotele. Il non potersi alzare in piedi dalla posizione a sedere non è certo dovuto alla conservazione degli angoli retti, causa di quiete, ma perché essendo posto il centro di gravità fuori dal sostegno dei piedi, il centro non avrà una posizione stabile a cui aderire e in cui sostenersi nell'atto dell'alzarsi. Sarà quindi necessario spostare e collocare su una stessa linea il centro di gravità per potersi alzare. Questo è esattamente ciò che viene fatto piegando in avanti il torace e portando indietro le gambe. Che nell'alzarsi in piedi la formazione di angoli acuti sia necessaria, è evidente, ma non essa è la causa di tale effetto, come sembra pensare Aristotele.

Stabilita questa nuova impostazione del problema Baldi può quindi proporre nuove questioni: perché i piedi degli uomini e dei rimanenti animali, che qualche volta incedono con il corpo eretto, non sono corti e rotondi, ma piuttosto più lunghi ed estesi nella parte inferiore? Parimenti perché si estendono di più verso le dita che verso il calcagno? Perché quelli che camminano sui trampoli non stanno in posizione eretta, se non muovendosi ininterrottamente? A tutte queste domande si dà risposta mostrando come sempre per stare in equilibrio il centro di gravità dell'uomo o dell'animale dovrà cadere all'interno di ciò che gli permette di stare in piedi. La collocazione del centro di gravità all'interno della superficie di sostegno è una condizione anche per l'equilibrio degli oggetti prodotti dall'uomo (vasi, trepiedi, etc.), e in ultima analisi è la ragione che spiega come mai le torri pendenti di Pisa e Bologna non crollino nonostante il loro discostarsi dalla perpendicolare al terreno.

3.14 Questioni 31–34: i problemi relativi al moto

Nella questione XXXI si chiede perché sia più facile muovere una cosa già in moto che una cosa ferma. Non si tratta di un quesito meccanico in senso stretto, dato che non è coinvolta una macchina (Baldi fa l'esempio di una sfera fatta rotolare a spinta su un piano); si tratta di una questione fisica. Elaborando la soluzione dei Problemi Meccanici Baldi dice che il mosso in senso contrario alla spinta sottrae una parte della potenza della spinta. Allo stesso modo avviene quando la spinta è esercitata su un corpo in quiete. Alla fine, su questa base viene proposta la soluzione al problema fisico dato dall'aumento continuo della velocità del moto naturale: la natura della cosa mossa spinge costantemente la cosa, e questa spinta determina continuamente una accelerazione.

Il XXXII quesito investe il problema del moto dei proiettili, e più particolarmente ricerca quale sia la causa per cui questi cessano di muoversi. Si tratta, come per la precedente, di una questione fisica. Nei Problemi Meccanici sono congetturate più spiegazioni, che sono lasciate in sospeso. Baldi, rifacendosi al Piccolomini, propone la spiegazione basata sul carattere accidentale del moto impresso, con il conseguente progressivo esaurimento dello stesso.39

Anche la questione XXXIII si occupa del moto dei proiettili, indagando questa volta il perché i proiettili continuino a muoversi, anche dopo che si sono distaccati da ciò che li scaglia. È questo un problema centrale all'interno della riflessione aristotelica sui moti violenti. Ancora una volta Baldi si pronuncia in linea con i Problemi Meccanici, servendosi per la soluzione del carattere accidentale del moto impresso, e del conseguente suo progressivo esaurimento.

L'ultimo quesito relativo al moto dei corpi lanciati affronta invece un altro aspetto del problema, quello di una necessaria proporzione tra motore e corpo mosso. La questione XXXIV è formulata infatti in questo modo: perché né le cose molto piccole, né quelle molto grandi, possono essere scagliate lontano? Anche in questo caso si tratta di una questione fisica. Baldi cita le due spiegazioni proposte nell'opera aristotelica: perché è necessario che ci sia un certo rapporto tra ciò che scaglia e la resistenza dell'oggetto scagliato, oppure perché l'oggetto scagliato deve muovere l'aria. Vengono poi trattate brevemente tre questioni, solo debolmente collegate a questa: 1) perché i corpi scagliati si girano in modo che la parte più pesante venga a collocarsi in posizione anteriore? 2) perché i sassi scagliati nell'acqua rimbalzano più volte? 3) perché la palla scagliata verso un piano orizzontale rimbalza con angoli uguali?

3.15 Questione 35: il moto dei corpi nei vortici d'acqua

L'ultima questione dell'opera, come le quattro immediatamente precedenti, riguarda il movimento dei corpi, ma in questo caso il fenomeno preso in considerazione permette di ricondurre immediatamente il problema alle proprietà della figura circolare. Si chiede infatti perché le cose trasportate in un vortice d'acqua siano spinte verso il centro. Aristotele forniva una spiegazione articolata. In primo luogo la cosa trasportata si situa tra due cerchi, di cui il maggiore è più veloce. Ciò fa sì che il moto dell'oggetto trasportato diventi trasversale, e che esso venga spinto verso il cerchio più interno. Poi passando di cerchio in cerchio, ciò che si muove finisce per passare dallo stato di moto alla quiete. Inoltre non è da trascurare il ruolo giocato dalla gravità della cosa trasportata, che non permette alla stessa di seguire il moto del cerchio maggiore, e la spinge continuamente verso il più lento fino a raggiungere il centro.

Baldi però obietta che i vortici non sono cerchi che si sviluppano e ruotano intorno a un medesimo centro, ma moti rotatori in forma di spirale. Egli fa inoltre notare alcune incongruenze della spiegazione di Aristotele: la gravità, ad esempio, sarebbe capace solo di rallentare il moto della cosa trasportata, per cui il movimento verso il centro deve avvenire per l'intervento di un'altra causa.

3.16 Appendice: il problema delle due medie proporzionali

Alla fine del commento ai Problemi Meccanici si trova nella stampa un'appendice estranea alle questioni trattate nel testo greco. Si tratta di un classico problema della matematica antica, che viene qui riconsiderato: dati due segmenti disuguali, trovare le due medie proporzionali. Baldi accenna alla storia della soluzioni proposte nell'antichità, propone poi un procedimento meccanico per risolvere il problema, rivendicandone l'originalità. La dimostrazione della validità della soluzione proposta è condotta rifacendosi all'antica dimostrazione illustrata da Pappo per il procedimento proposto da Nicomede.40

Note a piè pagina

Questa parte dell'introduzione beneficia del lavoro di equipe relativo alla traduzione italiana e commento dell'opera baldiana svolto a Milano nel triennio 2006–2008. Tale gruppo di studio era composto da Sergio Aprosio, Antonio Becchi, Adriano Carugo, Ferruccio Franco Repellini, Enrico Gamba, Romano Gatto, Gianni Micheli ed Elio Nenci. Si veda Baldi 2010.

Crescimbeni 2001, 120–122, 142 opera composta nei primi anni del XVIII secolo, Affò 1783, 198.

I manoscritti delle Dissertationes in mechanica problemata Aristotelis e delle Exercitationes erano conservati a Firenze presso la biblioteca dell'Accademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria, ma furono distrutti in seguito alle vicende belliche della II guerra mondiale. Alcune importanti note su argomenti di meccanica strettamente connessi a quelli trattati nelle Exercitationes si trovano in 15 carte (129r–136r) del manoscritto segnato XIII.F.25 conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli. Su questo materiale sta lavorando Antonio Becchi.

In una lettera del 17 Novembre del 1614 a Pier Matteo Giordani, Baldi scriveva: “Portarò con me un originale de la mia fatica intorno le mechaniche, e la potremo veder insieme”. (Biblioteca Oliveriana di Pesaro, Cod. 430, c. 59).

Il 3 Settembre 1615 Baldi aveva scritto a Johann Faber (1570-1640) chiedendogli aiuto per il recupero dell'opera spedita in Germania, si veda Serrai (2002, 111-112, 142).

Una prima critica di quanto affermato in questa questione si trova già espressa da Tartaglia nel libro VII dei Quesiti et inventioni diverse, 1546.

Anche su questo punto aveva già insistito Tartaglia, che nel libro VIII dei Quesiti et inventioni diverse offrì una teoria dell'equilibrio della bilancia avente il sostegno posto nel centro basata sulla scientia de ponderibus medievale.

Questo è il termine comunemente usato per il contrappeso mobile.

Con il termine arabo shaduf si indica oggi il congegno che i Greci chiamavano keloneion e il Romani tolleno. Si tratta di una macchina molto semplice, formata da due travi di legno, un peso, e un recipiente per l'acqua legato a una fune o a un'asta. La prima trave è conficcata verticalmente nel terreno, e funziona da sostegno per l'altra trave, che è collocata di traverso nella parte superiore della prima, ed è in grado di ruotare intorno al suo punto di appoggio. Tale punto d'appoggio non coincide con il centro di detta trave trasversale, ma è scelto in modo tale che una parte risulti assai più lunga dell'altra. All'estremità più lontana dal sostegno viene posta la fune-asta con il recipiente, mentre il peso viene legato alla trave all'estremità opposta. La macchina viene collocata vicino a fiumi, canali e pozzi, ed è generalmente manovrata da un solo uomo, che tirando verso il basso la fune-asta con il recipiente vuoto lo fa scendere verso la superficie dell'acqua, e una volta riempito lo risolleva aiutato dal contrappeso, versandone successivamente il contenuto.

Tutti i passi citati in Baldi 1621, 88.

Sulle discussioni sorte intorno alle questioni XIV e XVI si vedano Baldi 1621, 88.

Si veda Becchi 2004.

Tutti i passi citati in Baldi 1621, 128–129.